“Rifugiamoci nell’arte” per un nuovo futuro
L’arte come racconto di sé, dei sogni e delle speranze di chi è stato costretto, per la guerra o l’estrema povertà, ad abbandonare il proprio Paese d’origine. Perché è nell’arte, con il suo linguaggio universale, che viene abbattuta ogni barriera, fisica e mentale. Sono questi i temi centrali del progetto “Rifugiamoci nell’arte” promosso dal consorzio di cooperative sociali “Casa della Solidarietà”. Per una sera il Centro Enea di Roma si è trasformato in un luogo senza spazio e senza tempo in cui gli ospiti dei CARA, dei CAS e degli SPRAR hanno organizzato mostre e spettacoli teatrali. Un viaggio intenso e meraviglioso attraverso la storia, la cultura e le tradizioni di persone fuggite dal proprio Paese. Un viaggio fatto di canzoni, danze popolari, sketch teatrali, fotografie e manufatti che parlano della loro terra, dei sacrifici, dei desideri e degli stati d’animo di chi è costretto a ricominciare una nuova vita, spesso lontano dai propri affetti familiari.
In mostra i frutti dei corsi di formazione e aggregazione
Tante piccole mostre, ognuna allestita da un diverso centro di prima o seconda accoglienza, hanno dato il benvenuto ai numerosi ospiti. Esse rappresentano il risultato finale dei corsi di laboratorio a cui i migranti hanno preso parte in questi mesi. Si potevano scorgere, realizzate dallo SPRAR di San Michele, alcune pitture su tessuti inneggianti alla felicità (rappresentata da una fiamma sopra una bocca sorridente; il sole irradia le tre persone unite nella danza) o alla conoscenza (l’arco rappresenta la cima di un teschio umano e, sotto, una stella splendente dirama i suoi raggi di luce. Entrambi, emblemi della vita, rappresentano la conoscenza creativa e viva). Oppure si potevano vedere alcuni modellini di aerei e automobili realizzati dal CARA Codirossoni con materiale riciclato, fil di ferro e cartone. O, ancora, indumenti lavorati all’uncinetto dai rifugiati dello SPRAR Riserva Nuova o manufatti in terracotta, come il Jambe o una maschera africana, confezionati dai ragazzi del CAS Anzio Armellino. Accanto al banchetto di olive in salamoia raccolte da Alì, pachistano, e Jerisse, egiziano, dello SPRAR Pantano era seduto Tariq Razzak, anche lui pachistano. Presidiava il suo banchetto di monili che lui stesso aveva realizzato in legno e altre pietre. “Sono arrivato in Italia cinque anni fa – racconta l’uomo in un buon italiano – partendo dalla Libia. Lì c’erano ancora Gheddafi e la guerra. Piovevano bombe ovunque e così ho deciso di scappare via mare. Eravamo in 500 su una barca di 17 metri senza poter mangiare, bere o andare al bagno”. Lo scafista non conosceva la rotta, ci confessa l’orafo. Tariq è vivo per miracolo, salvato dagli uomini della Guardia Costiera. Il suo desiderio, oggi, è riuscire a portare in Italia la moglie, malata di cancro, e la figlia più piccola. Le vuole regalare un futuro migliore.
Lo spettacolo del Centro Enea
Poco distante dal banchetto di Tariq c’è il teatro del Centro Enea. Lo spettacolo inizia con la proiezione di un breve filmato sulle attività che gli ospiti dei CARA, dei CAS e degli SPRAR svolgono quotidianamente. Poi si prosegue con le esibizioni: danze tradizionali, canzoni di Natale, cori gospel e sketch teatrali, tutti preparati con dedizione dai ragazzi dei centri e dai loro assistenti sociali. Risate e applausi hanno incoraggiato gli artisti tanto che lo spettacolo è stato allungato di un’ora, intrattenendo il pubblico per ben due ore.
L’Italia: il sogno di una nuova vita
Traoré Bubu, Dodzi e Traorè Mailè hanno eseguito alcune danze tribali tipiche del Togo. Bubu suonava il guanì, una chitarra africana ricavata da una scopa e una forma di formaggio, Mailè lo accompagnava con percussioni ricavate da materiali riciclati e, intanto, Dodzi ballava incantando la platea con la sinuosità dei suoi movimenti. “Sogniamo di lavorare in una scuola di musica per diffondere la nostra cultura e le nostre tradizioni perché la musica è il linguaggio dei popoli, un linguaggio universale e sempre valido”, racconta il trio che poi aggiunge: “All’Italia chiediamo protezione e la possibilità di poter lavorare costruendo il nostro futuro”.